Valle d'Itria

La chiesa di San Francesco da Paola a Martina Franca


Un viaggio nella spiritualità e nell'arte espresse nei secoli Seicento e Settecento a Martina Franca, visitando il complesso coventuale di San Francesco da Paola.

Nel 1608 l'ordine mendicante dei frati Paolotti, o Minimi, fondato nel XV secolo da san Francesco da Paola, giunse a Martina Franca e si insediò  alle porte della città dove sorgeva la Chiesa di Santa Maria della Misericordia, nel luogo dove nel XVIII secolo fu costruita la bellissima Chiesa del Carmine. Il culto per il Santo taumaturgo calabrese era però preesistente nella città fin dalla metà del 1500, introdotto forse dal nobile spagnolo Baldassarre Gaona che trasferitosi a Martina portò con sè questa sentita devozione familiare. In quel secolo si venerava il Santo anche presso un altare a lui dedicato nella navata sinistra della quattrocentesca Collegiata di San Martino.

I Paolotti rimasero poco alle porte della città scegliendo in seguito un luogo molto più in periferia, lontano dai rumori urbani in un ambiente rurale più consono allo spirito dell'ordine che aveva ereditato gli insegnamenti di san Francesco, un asceta dedito alla vita contemplativa oltre che alla carità. Così essi si stabilirono là dove sorgeva una chiesetta cinquecentesca dedicata a Santa Maria di Costantinopoli, lungo un crocevia  dove la collina degradava su una Valle, forse già nota a quel tempo come la Valle di Santa Maria d'Itria. Qui, oltre alla chiesa vi era anche una casa ormai disabitata dove aveva soggiornato in passato il cantore della Collegiata di San Martino. Vi erano anche una cisterna e un giardino. Una somma cospicua per iniziare i lavori edili del convento fu ricavata dalla vendita di una masseria, del Colozzo, che era stata donata all'ordine tramite testamento dal dottor Giovanni Battista de Leonardis (o de Leonibus).

Nella prima metà del 1600 i lavori del Convento non erano ancora terminati quando il duca di Martina Petracone V donò 300 scudi ai Paolotti; il suo era un ringraziamento al Santo per il felice parto della moglie che aveva dato alla luce Beatrice.
Mentre si costruiva la nuova chiesa si continuò a officiare nella chiesetta di Santa Maria di Costantinopoli. Anche a lavori terminati, su chiesa e convento si intervenne più volte perchè essi presentarono alcuni problemi strutturali. Nel 1680 furono realizzati la sacrestia e due cori. Agli inizi del 1700 fu ricostruito l'altare maggiore; nel 1865 la chiesa fu ristrutturata. Con la soppressione degli ordini religiosi del 1866 i frati Paolotti abbandonarono il convento e la chiesa. Rimasero i problemi di natura strutturale, tanto che nel 1970 fu di nuovo necessario ristrutturare  tutto il complesso, partendo dal cedimento di un pilastro nella chiesa. Fu allora che il settecentesco altare maggiore fu smembrato e rimontato nella sacrestia (vedi ftt. 6-7), conservando solo il paliotto in chiesa (vedi ft.5). Quasi per tutto il Novecento il convento è stato utilizzato come Seminario, poi abbandonato e chiuso con la chiesa. Da qualche anno la chiesa, per fortuna, è stata riaperta ai fedeli e devoti francescani ed è tornata a splendere grazie alla cura dei sacerdoti che organizzano i riti sacri.

 
Certamente, seppure già presente come culto a Martina, l'arrivo nel XVII secolo dei Paolotti diffuse molto più la devozione per san Francesco da Paola. Tant'è vero che nel 1678 il Santo mendicante fu eletto patrono meno principale della città, dopo san Martino; la festa a lui dedicata, il 2 aprile, divenne sempre più solenne e l'Università (il Municipio) deliberò di donare ogni anno per la festa 10 ducati. Si ricorda che la devozione per San Francesco da Paola, dopo la morte e canonizzazione, fu così sentita nel Meridione di Italia al punto che nel 1738 papa Clemente XII lo nominò patrono del Regno di Napoli. L'altare della chiesa di San Francesco da Paola a Martina Franca fu un punto di riferimento per tanti fedeli che chiedevano grazie al santo taumaturgo. Con i solenni festeggiamenti si diffuse il rito dei tredici venerdì, ancora praticato, ossia una preparazione alla festa del 2 aprile per tredici venerdì, con una messa serale, l'esposizione della statua litica del santo e un rigore alimentare in quei giorni, con cui si escludono i cibi grassi. Un rigore non difficile da praticare per molti fedeli in quanto solitamente è un periodo che più o meno coincide con la Quaresima.
 
Gli edifici
Fino agli anni '70 del Novecento giungendo dall'ampia piazza antistante la chiesa si godeva  già a distanza di una visione antica di tutto il complesso architettonico, solo un'eco però di come esso doveva apparire nei secoli scorsi immerso in un paesaggio campestre, sopraelevato sulla meravigliosa Valle d'Itria. Poco a poco, dagli anni '60 l'ampliamento della città ha creato qui un nuovo quartiere, con tanti palazzi e con l'Ospedale per il quale è stato necessario trasformare la piazza in parcheggio. Sulla stessa piazza è stato realizzato un viale perfettamente in asse con il portale principale della chiesa, che tuttavia ha privato il luogo della "visione antica".  Un sagrato delimitato da muretto e pavimentato con la pietrta locale precede la facciata della chiesa e la valorizza.

 
La facciata è semplice ed elegante (vedi ft.1).  Articolata da tre portali a cui corrispondono tre finestre ottagonali, un fregio decora la sua sommità con al centro una croce su un basamento a volute. I tre portali preannunciano che la chiesa è trinavata e, di essi, l'unico decorato è quello maggiore. Esso presenta un'impostazione classicheggiante nella trabeazione che lascia spazio a decori più raffinati sugli stipiti anche con simboli esoterici, figure umane ed esili colonne tortili.  Il timpano spezzato contiene al centro lo stemma dell'ordine dei Paolotti, con inconfondibile l'anagramma CHS (Charitas) (vedi ftt.2-3).
 
Appena entrati lo sguardo corre fino all'altare maggiore, che conserva l'originale paliotto dell'altare settecentesco, invece smontato e rimontato nella sacrestia (vedi ft.4).  Due colonne con capitelli compositi delimitano l'area del coro, probabilmente ciò che rimane dell'antica chiesetta di Santa Maria di Costantinopoli (vedi ftt.5-8).  Il coro ligneo a tarsie fu realizzato nel 1776 con un solo ordine,  con gli stalli decorati anch'essi da eleganti colonnine tortili e un fregio che corre su tutta la cornice superiore (vedi ftt.9-10). Due lunette laterali del coro sulle pareti mostrano le immagini di san Pietro e san Paolo, venute alla luce durante i restauri degli anni settanta del Novecento (vedi ftt.11-12). Le navate laterali della chiesa hanno tre altari per lato realizzati nel XVIII secolo in stile rococò improntato a modelli napoletani,  con eleganti decorazioni a stucco di un tenuo giallo ocra a due sfumature che colora fiori, volute e conchiglie.  Due altari di fondo adornano le due navate laterali. Su di essi i paliotti in linea artistica con gli altri altari rococò laterali lasciano spazio, invece, nella parte superiore all'esuberante barocco salentino, chiaramente simile agli altari della chiesa di San Francesco di Assisi, sempre a Martina Franca, a cui sono coevi. Su di essi risalta il motivo della colonna tortile sul cui fusto, quasi a tutto tondo, sono avvolti vegetali,  angioletti e colombe in un moto che sembra ascensionale. Con questi altari si evidenziano gli effetti che il barocco nella sua espressione più vistosa ricerca: chiaroscuro, movimento, linea curva e, soprattutto, simbolismo. A Martina Franca, dove il barocco e il rococò non hanno mai raggiunto l'esuberanza espressiva di Lecce a causa della dura pietra calcarea poco lavorabile, l'influenza salentina la si ammira proprio nelle chiese di San Francesco da Paola e di San Francesco di Assisi, mentre qualche anno dopo anche nel Palazzo Ducale, sul piano nobile, con la realizzazione del portale d'accesso al Salone delle Feste.
 
Le opere d'arte, tele, statue e altari, realizzati tra il XVII e il XVIII secoli.

Navata sinistra.
Appena entrati in chiesa il primo altare a sinistra è dedicato a sant'Andrea  Avellino terziario minimo e protettore degli apoplettici, raffigurato su una tela a olio di autore ignoto del XVIII sec.  La tela ritrae sant’Andrea, appartenente all’ordine dei Teatini ed uno dei principali fautori della Riforma Cattolica, durante la celebrazione della sua ultima messa. Egli mentre  stava per iniziare la celebrazione fu colto da apoplessia che lo condusse alla morte la sera stessa. La drammaticità del momento è sottolineata dalla presenza di un confratello che, collocato alle sue spalle, cerca di sorreggerlo. In basso a destra tra i fedeli una donna che allatta un bambino, una variante della Madonna che allatta il Bambino, come in altre tele con lo stesso soggetto è dipinta (vedi ftt.16-17).
 
Sul secondo altare è esposta la tela ad olio con l'immagine della Vergine dei Sette dolori trafitta al cuore e intorno angeli che le mostrano alcuni simboli della passione di Cristo (vedi ft.18-19).
 
Il terzo altare è dedicato a san Francesco da Paola e conserva nella nicchia la grande Statua litica del santo del 1730 che sostituì un grande dipinto. Il primo anonimo biografo di San Francesco da Paola nel 1502 aveva probabilmente conosciuto il Santo che morì nel 1507.  Come testimone oculare egli descrisse il Santo con una corporatura superiore al normale, robusta, uno sguardo che incuteva timore, anzi terrore.  L'autore Angelo Carmelo Bello in un suo saggio, accosta quest'antica descrizione del Santo alla statua litica esposta sull'altare nella chiesa, su cui lui riconosce quello sguardo minaccioso, ricordando anche che da giovanissimo quando entrava in chiesa e vedeva questa statua illuminata da luci fioche con quel grande bastone, egli provava timore. Alcune leggende, infatti si diffusero sulla statua di san Francesco collocata nella chiesa di Martina, che col bastone ha messo in fuga non pochi ladri. Si racconta anche che di notte vicino alla chiesa di San Francesco da Paola assève u spirde de sante Francische, ossia appariva il fantasma del santo, vestito di nero saio, con il nodoso bordone che percuoteva malintenzionati, ubriachi e bestemmiatori (vedi ft. 20).
 
L'altare di fondo della navata sinistra mostra nell'ancona la bellissima tela (secc.XVII-XVIII) sempre dedicata, come l'altare, alla Madonna di Costantinopoli  e attrtibuita a Nicola Gliri, brillante pittore di Bitonto.  La parte sovrastante del dipinto mostra la Madonna col Bambino in grembo, col tipico manto blu, il colore del cielo, e il vestito rosso, il colore del sangue. Il Bambino Gesù guarda verso l'osservatore benedicendo con la mano destra e reggendo il globo crucigero nella mano sinistra, simbolo del suo regno terrestre. Due angioletti incoronano la Madonna e tutta la scena è avvolta da una luce calda che contrasta nettamente con la parte inferiore del dipindo, dove in penombra si vede una città in fiamme, chissà se un riferimento a Martina Franca e alla peste del XVII secolo che colpì il Regno di Napoli. L'associazione della Madonna di Costantinopoli con la peste ha una sua motivazipone. Nel 1529 il culto si affermò a Napoli dopo il rinvenimento presso le mura di un'icona nascosta da antiche rovine. Subito dopo, si racconta, cessò la peste. Da quel momento il culto si diffuse in tutto il Regno e la Madonna si invocò contro le varie pestilenze che seguirono. Le città in fiamme dipinte nelle tele sono un riferimento alle epidemie, dove il fuoco è simbolo di purificazione dal male. Il culto della Madonna di Costantinopoli va distinto dalla devozione per la Madonna Odegitria, molto più antica e diffusasi già nell'Italia bizantina ad opera di monaci greco-orietali (vedi ftt. 21-22).
 
A sinistra dell'altare della Madonna di Costantinopoli in una nicchia è collocata una statua lignea di San Francesco da Paola, con l'aureola e il bordone d'argento, secondo alcuni molto più rassicurante della statua litica sull'altare della stessa navata. Statua viene esposta durante i tredici venerdì di preparazione alla festa del Santo (vedi ft.23).
 
Navata destra.
L'altare di fondo è dedicato a san Michele Arcangelo la cui statua litica lo rappresenta combattente mentre calpesta e sconfigge Satana con la sua lancia, l'iconografia del Santo diffusa nella cultura religiosa occidentale. La crudezza della scena si contrappone alla serenità che infonde la statua della Madonna Immacolata sul fastigio dell'altare (vedi ftt.24-25).
 
Proseguendo, il primo altare laterale è dedicato alla Madonna delle Grazie con in grembo il Bambino Gesù che regge il globo crucigero nella mano sinistra mentre con la destra sembra indicare il seno materno o compiere un'accennata benedizione. L'immagine è una variante dell'iconografia della Madonna del latte, in cui generalmente il Bambino allatta. Il seno scoperto sempre esprime la natura umana insita in Cristo che si nutre da quel seno, ma che in questo caso è anche un nutrimento offerto all'umanità verso cui la Madonna è rivolta, con il suo sguardo materno e accogliente (vedi ftt.26-27).
 
Segue l'altare dedicato all'Ecce Homo, un'opera del XVII sec. del famoso scultore Cesare Penna, artista di spicco nella Lecce barocca, una statua  che si invocava in loco nel Settecento affinchè piovesse (vedi ft.28).
 
L'ultimo altare è dedicato ai Santi Gioacchino e Anna, una tela dipinta nel 1640 da Marcello Arnone, un pittore di Contursi. I genitori di Maria sono dipinti frontalmente e dai loro cuori partono due gigli i cui fiori si incontrano formando un vertice che sembra reggere Maria, Immacolata e avvolta da una luce dorata. I gigli, infatti, sono simbolo di purezza e quindi attributi di Maria. Gli steli dei due gigli fanno da cornice a un'altra scena, ossia al centro della tela  la fuga in Egitto della Sacra famiglia ambientata in un bel paesaggio naturale (vedi ftt.29-30).
 
Il Chiostro.
In fondo alla navata destra, di fianco all'altare di san Michele, da una porticina si accede nel chiostro quadriportico del convento, dove sotto il porticato per fortuna ancora sono leggibili alcuni dipinti a tempera che decorano le lunette, tornati alla luce con i restauri del 1970. Ovviamente un tempo tutte le lunette eranpo dipinte con scene dedicate alla vita e ai miracoli di San Francesco da Paola (vedi ft.31). 
Nell'elenco che segue alcune scene leggibili .
 
Il miracolo delle monete d'oro del re Ferrante, l'episodio che si riferisce al 1483 quando il Santo al cospetto del re di Napoli fece scaturire dal denaro il sangue, simbolo delle sofferenze inflitte al popolo per l'oppressione fiscale (vedi ft.34).
La profanazione della sepoltura del Santo, un riferimento alla cruenta profanazione della tomba del Santo nel 1562,  sepolto vicino Tours, quando i protestanti Ugonotti arsero i poveri resti mortali. Qui, i profanatori Ugonotti però sono raffigurati come infedeli saraceni (vedi ft.35).
L'Estasi del Santo, in cui il Santo col suo saio marrone è inginocchiato e palesemente in preda a uno stato di grazia (vedi ft.36).
La fonte della cucchiarella,  l'episodio in cui Francesco, per agevolare il lavoro di costruzione del convento, fece scaturire l'acqua da una roccia vicina evitandone il trasporto da una fonte distante, acqua poi prelevata con cucchiai, da cui il nome del miracolo. Un chiaro accostamento del frate anche a Mosè che compì lo stesso miracolo dell'acqua nel deserto (vedi ft.32).
Infine, San Francesco da Paola  resuscita il nipote Nicola,  morto in seguito a una malattia che prima di essere sepolto viene resuscitato dal Santo e restituito alla madre, sua sorella (ft.37).
 
Si ringrazia sentitamente Don Angelo Pastore per aver aperto chiesa e convento e consentito di fotografare tutto il monumento in orari distanti dalle funzioni sacre.
Si consiglia di leggere sull'argomento:
  • il saggio  La devozione martinese nel Seicento: San Francesco da Paola, contenuto nel libro "Giubileo al Caffè del Ringo", a cura del Gruppo Umanesimo della Pietra, edinto nel 2000;
  • a cura di D. Blasi e di G. Liuzzi il saggio del Colucci Istoria dell'austerissimo padre Bonaventura di Martina dell'Ordine dei Minimi di San Francesco di Paula - 2006;
  • il saggio di Piero Marinò Chiesa di San Francesco da Paola - Dall'arte leccese agli altari alla napoletana,  contenuto nel suo libro "Martina Barocca e Rococò" - 2015;
  • "Il convento dei Paolotti in Martina Franca", di G. Grassi - 1959.



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