Valle d'Itria

I bovini autoctoni in Puglia


Una storia lunga millenni dei grandi bovini italici pare impropriamente chiamati podolici.

Secondo una teoria diffusa, i bovini comunemente chiamati "podolici"  che popolano i pascoli di alcune regioni dell'Italia meridionale sono originari della Podolia, l'attuale Ucraina, giunti in Italia e anche in alre aree dell'Europa al seguito dei nomadi e guerrieri Unni, che tra i secoli IV e V si mossero dalle steppe asiatiche per conquistare altri luoghi.  Nello specifico l'aggettivo "podolico" fu introdotto verso la fine dell'Ottocento utilizzato anche come sinonimo di asiaticus, avvalorando dunque  la tesi della provenienza dall'oriente asiatico.  Di fatto, non c'è testimonianza documentaria di queste tesi nè dell'aspetto che avevano i bovini che abitavano quelle lontane terre, Podolia compresa. Sulla base di documentazioni archeologiche, invece, è stato stabilito che i bovini autoctoni in oggetto discendano dagli arcaici Uri, grossi bovidi che costituivano una razza indigena europea. Testimonianze molto evidenti della presenza degli Uri nell'Italia peninsulare sono state rinvenute in due siti: nel Riparo del Romita, nel territorio di Cosenza in Calabria, dove nella grotta è chiara l'immagine graffita sulla roccia dell'Uro; l'altro graffito è stato trovato nella Grotta Romanelli nel territorio di Castro Marina, in Puglia. Entrambi i siti furono frequentati nel Paleolitico da comunità dell'Homo Sapiens che cacciavano questi grandi bovidi, infatti resti degli stessi animali sono stati rinvenuti nel terreno intorno alle grotte.  In aiuto giungono anche le fonti scritte che dimostrano che in epoche successive una specie autoctona  di grossi bovidi era presente in Europa, animali molto somiglianti agli Uri preistorici. Forse giunti in Italia meridionale da Creta come qualche ricercatore sostiene e già addomesticati dall'uomo. Certo è che i Romani li utilizzarono in agricoltura, come confermato anche nel trattato di agronomia De de Rustica, un trattato dello scrittore latino L.M. Columella, descrivendoli nelle caratteristiche possenti, grigi e con lunga corna.  Nel 1758 il naturalista svedese C. N. Von Linnè denominò l'Urus anche Bos primigenius; essi erano riconosciuti ormai a tutti gli effetti come i progenitori di tutti i bovidi domestici che avevano popolato l'Europa.
Più semplicemente forse si potrebbe affermare che da una specie primigenia di bovini si siano generate sottospecie che hanno popolato le diverse aree del pianeta e che i nostri bovini più prossimi siano discendenti della sottospecie europea. 
Tornando all'aggettivo podolico, esso continua a essere in uso in riferimento ai bovini autoctoni allevati in Puglia, Molise, Abruzzo, Campania, Basilicata e Calabria, quindi nel prosieguo dell'articolo per semplificare li chiameremo "podolici".
 
I bovini podolici hanno mantenuto caratteristiche fisiche quasi identiche a quelle dei loro progenitori. Si tratta di bovini dall'apparenza possente con scheletri leggeri però, rustici ed energici. Le femmine hanno il mantello di colore grigio con corna a forma di lira, di colore più scuro il mantello dei maschi che hanno le corna a forma di semiluna, mentre i vitelli fino a 6 mesi circa hanno il colore fromentino, un marroncino chiaro che ricorda il frumento appunto. In genere i podolici maturano del tutto verso i 5 anni, conservano tutti un'eccezionale capacità di adattarsi a condizioni ambientali difficili e di cibarsi su pascoli rocciosi e poveri come quelli della Murgia pietrosa per esempio, cespugliosi, con essenze erbacee e arbustive. Per questo un allevamento allo stato semibrado della razza podolica è di ausilio all'uomo come prevenzione degli incendi nei boschi, perchè col pascolo si mantiene un sottobosco pulito. L'allevamento semibrado dei bovini per secoli ha richiesto bassi costi di gestione, primo perchè aveva bisogno di pochissima manodopera, poi perchè essi si nutrivano con poca paglia e poco foraggio secco, in aggiunta al pascolo frugale, e nonostante tutto mantenevano  vigoria. Queste peculiarità hanno segnato la differenza con le razze bovine introdotte negli allevamenti e nei pascoli nel Novecento, come le brune alpine e le frisone, che richiedono costi di gestione più elevati a fronte però di una produzione lattiera e di carni più redditizia, ma meno pregiata. Lo stato semibrado dei bovini podolici consente ai vitelli di vivere sui pascoli con le madri, in questo modo non alterando la struttura familiare dei bovini e, certamente, il costante pascolare sulla Murgia  contribuisce a mantenere un ecosistema in contuinua ciclicità. La vacca podolica in genere partorisce per la prima volta verso i tre anni ed è feconda per molti anni. Molte vacche rimangono in allevamento per circa 12 anni.
La produzione del latte, in particolare, varia da una femmina all'altra, un latte mai abbondante ma ricco di caseina e grasso, pertanto molto buono per produrre latticini e un caciocavallo podolico eccellente.  Per questo si usano accorgimenti anche nella cura degli animali, per esempio prediligendo la primavera come momento dei parti, quando nei pascoli le essenze spontanee esplodono e sono indispensabili per la produzione di un latte molto nutriente per i vitelli, ma anche per le madri che acquisiscono ottime condizioni nutrizionali.
La riabilitazione della razza podolica avvenuta qualche decennio fa ha determinato anche la creazione di un Libro genealogico.

Il bovino autoctono nei pascoli della Murgia in Puglia.
Fino alla metà del 1900 i bovini podolici pugliesi si allevavano sugli altipiani delle Murgre, tra le provincie di Bari, Brindisi e Taranto per poi  diffondersi anche  nella provincia di Lecce. Caratteristiche diverse avevano quelle della provincia di Foggia, tanto da distinguerle come  Pugliesi del Gargano.
Sempre nei primi decenni del Novecento, vi furono due tipi di allevamento di bovini podolici pugliesi: quello brado e quello semibrado o stallino. L'allevamento brado era costituito da importanti numeri. Gli allevatori praticavano con i podolici la transumanza attraverso antichi tratturi che dalle Murge si spostavano verso il litorale ionico fino ai rinomati pascoli dell'Arneo (Nardò, Avetrana),  per farli svernare e dove con il loro pregiato latte si producevano ottimi formaggi. Poi le mandrie tornavano per passare l'estate sui pascoli di montagna della Basilicata, passando per le Murge,  da Gravina, Irsina, Tolve, Palazzo San Gervasio e fino a Potenza. Questi allevatori con passione accudivano le mandrie che sul piano economico non erano molto produttive rispetto alle altre razze bovine ormai diffuse. Si trattava di allevatori esperti e capaci di selezionare e migliorare la razza i cui capi servivano per migliorare altre razze di bovini.
I podolici pugliesi allevati invece allo stato semibrado o stallino vivevano nelle masserie della Murgia e pressochè servivano come forza motrice nei lavori agricoli.  In questo caso non c'era dunque un'attenzione da parte dei proprietari, massari, agricoltori, mezzadri, a selezioni migliorative, pertanto venivano ritenuti meno pregiati del primo gruppo. Infatti gli allevatori di grosse mandrie transumanti ben si guardavano dall'accogliere nelle proprie bovini allevati nelle masserie, che avrebbero geneticamente degradato la razza.

Il declino di questi allevamenti cominciò durante l'era fascista, con delle politiche agrarie mirate più alla produzione del grano e all'introduzione di razze bovine estere. La produzione del grano determinò una consistente riduzione di pascoli a vantaggio di seminativi anche ad altitudini più elevate. Mano a mano le stalle si svuotarono. Tale situazione purtroppo continuò anche nel dopoguerra fino alla quasi estinzione di questa razza autoctona. Avvenne di fatto che in quegli anni e a seguire non ci fu più attenzione sulla purezza della razza, pertanto i bovini persero le originarie caratteristiche morfologiche, in più venne meno l'interesse ad allevare i podolici, evidentemente economicamente non convenienti. Pertanto l'allevamento delle razza podolica si ridusse alle aree boschive tra Martina, Mottola e Massafra, dove tuttavia la meccanizzazione agricola continuò a ridurre sempre più i capi minacciondone anche qui l'estinzione.
Qualche allevatore della Murgia per migliorare la razza introdusse dei tori maremmani, adatti proprio per il miglioramento di bovini autoctoni. Da questi incroci sono venuti fuori capi con caratteristiche molto simile agli arcaici bovini pugliesi, con una produzione di latte e carne pregiati e con molta forza fisica.
 
Rituali magico sacrali legati ai  bovini dalle grandi corna.
L'importanza dei bovini podolici è legata da sempre anche alla sfera religiosa, a rituali magico sacrali,  come testimoniano le immagini graffite degli Uri rinvenute nelle grotte carsiche pugliesi, che sono una chiara pratica propiziatoria prima della caccia dei grandi bovidi che le comunità di Homo Sapiens praticavano. Una sacralità espressa anche nell'antica Roma quando coppie di bovini dalle grandi corna venivano utilizzate dai sacerdoti per solcare con gli aratri i confini delle centurie da affidare ai veterani, un simbolismo che rendeva sacri i confini,  da non violare. Un rituale praticato anche da popolazini successive era di affidare la scelta di un fondo da coltivare e da abitare ai buoi, che percorrendo un sentiero liberamente sceglievano la strada indicando così il luogo dove stanziarsi. Nella nostra più vicina società contadina si utilizzava il giogo che univa la coppia di buoi podolici anche in un rituale legato alla morte. Quando il ligneo giogo era ormai vecchio,  guai a bruciarlo. Chi compiva questo gesto quasi sempre era destinato, quando sarebbe giunta, a una morte lenta e in agonia. Se succedeva, l'antitodo era di porre sotto il cuscino del malcapitato un pezzo di giogo in disuso, così la morte sopravveniva subito alleviandolo da inutili sofferenze. Insomma un vero e proprio rito magico. In Basilicata, in Calabria sono ancora tante le tradizioni di origine pagana in cui si utilizzano le podoliche, come il Maggio di Accettura, una festa che celebra la fertilità e il risveglio della natura, oppure i carnevali di alcune località dove ci si traveste da bovini, indossando anche campanacci, una identificazione con l'animale che, in quanto fonte economica,  viene così sacralizzato.
 
Altre letture sull'argomento:
"Il bovino podolico" in www.arabasilicata.it
"Il bovino italico" in www.cavallodellemurge.it - Testo di Giuseppe Maria Fraddosio
"L'inevitabile declino dei bovini podolici della Murgia" in Riflessioni Umanesimo della Pietra 1985 - Testo di Alfonso Basile



Lascia un commento

  Invia commento


NOTA BENE: il tuo commento sarà prima moderato e se ritenuto idoneo sarà pubblicato