Le vendemmia ogni anno porta con sè profumi, sapori, ricordi d'infanzia e di fanciullezza vissute nelle campagne della Valle d'itria.
...."per le vie del borgo/ dal ribollir de' tini/ va l' aspro odor dei vini/ l'anime a rallegrare"... La quartina di carducciana memoria è il perfetto esempio di quanto un odore sia in grado di richiamare alla memoria ricordi ed emozioni passate.
In questi giorni attraversando la nostra splendida Valle d'Itria le narici vengono "aggredite" dall'odore appiccicoso e acre del succo d'uva. Ecco allora affiorare alla memoria il tempo in cui nella casedda in campagna, nei giorni di vendemmia che vedevano occupata tutta la famiglia, mi lasciavo rapire dall'odore del mosto fresco che la nonna metteva a bollire per ore e ore, trasformando quell' odore da acre e pungente a dolce delizia: il vin cotto. Il succo opaco dopo ore e ore di bollitura diventava lucido, dolce e della consistenza di uno sciroppo e la nonna raccontava che " ai suoi tempi", quando non c'erano le farmacie, in campagna lo usavano proprio come sciroppo per sedare la tosse. Si filtrava il mosto di uva attraverso un telo a trama piuttosto fitta, per liberarlo da tutte le impurità presenti nel succo appena pigiato nel palmento (il luogo destinato alla pigiatura dell'uva). Veniva raccolto il primissimo mosto della giornata non perché fosse il migliore ma perché ci volevano 10/12 ore di cottura continuata. La nonna metteva il mosto in un pentolone di rame annerito dal fumo, di quelli che non si vedono più in giro, e lo faceva bollire fino a quando diventava denso e filante come il miele. Tutti a turno venivano delegati a sorvegliare il pentolone per far intervenire prontamente la nonna con la schiumarola a spannare il mosto. Bisognava essere bravi anche a capire quando si era vicini alla conclusione, perchè la nonna prontamente doveva di nuovo intervenire per la delicata operazione di pulitura delle pareti del contenitore, evitando così che, riducendosi il volume del liquido, i residui di zucchero caramellandosi potessero bruciare e quindi rendere amaro tutto il vincotto. Insomma, se gli addetti al controllo, fanciulli compresi, non svolgevano bene il lavoro la nonna sfoderava il mattarello per usarlo in modo improprio però. Così il vincotto si imbottigliava ancora caldo, ma non bollente, e quando era finalmente freddo le bottiglie venivano chiuse ermeticamente.
Il vin cotto veniva preparato per essere utilizzato nella realizzazione di alcuni dei dolci più rappresentativi della tradizione pugliese: le carteddate o carteddet, senza delle quali il Natale in Puglia non è Natale, le ntreme di vicchie (budelle dei vecchi), ossia tagliatelle di pasta passate nel vin cotto e le pettole. Ci sono in Valle d'Itria tradizioni diverse da un paese all'altro. Per esempio si usava anche, durante le lunghe ore di bollitura, immergere nel mosto fette di mele cotogne che venivano subito mangiate, addolcite dal succo. Altra usanza era quella di tuffare taralli appena impastati che venivano bolliti nel vin cotto non ancora addensato e poi passati al forno. Altri ancora lo utilizzavano per condire le carni macinate degli insaccati.
Oggi i nutrizionisti informano che il vin cotto o cotto è ricco di antiossidanti, migliora la circolazione sanguigna, attenua le fermentazioni intestinali e ovviamente è un toccasana nei casi di influenza, tosse, dolori articolari e mal di gola. Per ultimo, ma direi non meno importante, il vin cotto è un ottimo vino da dessert da offrire a fine pasto, proprio come facevano gli antichi romani con gli ospiti di riguardo.
Va fatta una precisazione. In valle d'itria, e non solo, con lo stesso procedimento si prepara anche il vino cotto. Sembra un gioco di parole, ma c'è una differenza tra i due vini. Il vin cotto, finora trattato, ha bisogno di più cottura per far sì che sia denso e adatto per i dolci. Il vino cotto si fa cuocere meno, così rimane più fluido, adatto per essere bevuto. Infatti, un tempo quando non esistevano le attuali tecniche di conservazione, il vino bianco, prodotto in Valle d'Itria, si doveva consumare entro l'estate altrimenti diventava aceto. Poi , dopo una lunga fermentazione nei capasoni, le anfore di argilla, toccava al vino cotto di essere bevuto fino alla successiva vendemmia. Certo era più alcolico del vino bianco e forse per questo meno salubre, ma diventava necessario e, tutto sommato, raccontano ancora gli anziani, anche saporito.