Tutti i segreti su l'antico mestiere di fabbricare cesti con i ramoscelli, utili da sempre per raccogliere e conservare frutti.
L'arte dell'intreccio è uno dei mestieri più antichi praticati dall'uomo che fin dagli esordi dell'agricoltura ha dovuto fabbricare con vegetali i cesti per raccogliere e conservare i doni di Madre Terra. Un'attività manuale che nei millenni è stata affinata ed è stata praticata in ogni parte del mondo. In un passato recente ancora questa attività manuale si praticava in casa, erano i contadini per esempio a intrecciare ramoscelli nelle ore di riposo dai lavori nei campi, la sera dopo cena o nei mesi piovosi. Cesti e panieri per uso personale o da barattare ai mercati o vendere, per arrotondare. Fino a un sessantennio fa le città della Valle d'Itria erano ancora piene di botteghe di cestai, che partecipavano, con i loro manufatti da vendere, anche alle fiere. Poi il consumismo, l'avvento di contenitori in plastica o di cesti realizzati in serie nelle fabbriche, anonimi e più scadenti di qualità ma più economici commercialmente, sono tutti fattori che hanno fatto quasi tramontare quest'attività. Per fortuna qualche antica bottega è sopravvissuta con maestri cestai desiderosi di tramandare l'arte dell'intreccio a giovani appassionati. L'economia turistica ha riacceso negli ultimi decenni i riflettori su tutto il patrimonio artigianale con l'istituzione anche di corsi di formazione su antichi mestieri. La teoria va bene, ma la pratica è la vera maestra. Così racconta Vittorio Lupoli, un giovane di Locorotondo che ha deciso di intraprendere l'attività di cestaio grazie all'incontro con un maestro cestaio ormai anziano.
Appresa l'arte Vittorio non l'ha messa da parte ma ne ha fatto buon uso avviando una bottega nel centro antico di Locorotondo che ha intitolato "la Bottega del tempo perso", un nome ambivalente, perché Vittorio ci lavora "a tempo perso" e recupera il "tempo perso", ossia quello degli artigiani cestai. L'entusiasmo e la passione Vittorio la trasmette nel descrivere le fasi lavorative prima di realizzare i manufatti. Egli utilizza naturalmente le piante autoctone della Murgia per ricavare polloni e ramoscelli flessibili da preparare all'intreccio. Per i cesti più rigidi usa ramoscelli di ulivo, orniello, lentisco, mirto e alaterno, piante prettamente mediterranee, anche salici, castagni, ciliegi e olmi; per i cesti semirigidi usa la paglia, gli asfodeli e i giunchi prelevati più dalle zone umide. La diversità della pianta e la stagione in cui si raccolgono i polloni, a primavera o in autunno, determinano anche la bicromia o policromia di alcuni cesti. Qualche consiglio: meglio raccogliere i polloni degli ulivi a maggio perché è più facile scorticarli o le canne nelle zone costiere perché più flessibili. I polloni appena raccolti si tengono in acqua per qualche giorno e poi si fanno essiccare, non al sole.
Poi le mani, protagoniste, creano abilmente senza misure e stampi e realizzano manufatti sempre diversi, che raccontano lo stato d'animo dell'artigiano, vigore, passione, esperienza, talvolta stanchezza. Vittorio realizza i panieri con manico più lungo per la raccolta di fichi, fioroni e ortaggi; panieri ovali con il manico più corto per la raccolta dei funghi, perché più adatto alla macchia in cui il raccoglitore deve immergersi per cercarli. Cesti più ampi o più svasati per altri tipi di frutta. Il giovane artigiano lavora anche ramoscelli spinosi che pulisce con la scocca (un pezzo di legno per scorticare) e sa anche intrecciare canne, con cui si fabbricano i tappeti per essiccare sopra d'estate pomodori, fichi e ortaggi per la conservazione. Vittorio si sente un privilegiato e indubbiamente è una risorsa per la cultura locale, perché contribuisce a tramandare antichi saperi.