Valle d'Itria

Il Carnevale a Martina Franca alla corte ducale e non solo


Carri e maschere alla corte ducale dei Caracciolo, feste e giochi di piazza, il funerale di "Carnevale" nelle campagne e tanti altri ricordi.

Come in  altri luoghi dell'Italia meridionale,  il Carnevale a Martina Franca comincia il 17 gennaio con la festa di Sant'Antonio Abate il protettore degli animali domestici e da reddito. Un detto popolare recita  A Sant'Antune mašhere e sune, ossia "A Sant'Antonio mascherate e suoni".
A Martina Franca esisteva  un'antica chiesa extra moenia nell'area ora urbana denominata Votano, una chiesa dedicata a Sant'Antonio Abate demolita agli inizi del secolo scorso,  dove quel giorno si facevano benedire gli animali e si accendeva una fanova (falò), termine che deriva dal greco  fanòs che nel dialetto martinese è diventato fanòie con significato di chiasso.  Una folla festeggiava sempre intorno alla fanova di sant'Antonio chiassosamente, infatti.
Un altro proverbio in vernacolo viene in aiuto per scandire le altre ricorrenze religiose del periodo carnevalesco. A Bufanjgghje, tutte i fiste pegghjene vjgghje./ Respnn sant'Antune,  jigghie skitte stch bune./ Respnn sant'Aulèse, jigghie kitte agge rummèse. / Ma d'sce a Canulre, stche jigghje ancre.  Ossia, "Dopo l'Epifania dalle feste siamo fuori. Risponde sant'Antonio che solo lui sta bene. Risponde san Biagio che solo la sua festa è rimasta, che cade il 3 febbraio. Ma la Candelora corregge e ricorda che, prima di san Biagio, il 2 febbraio c'è la sua festa".

Dal proverbio si deduce che il Carnevale fin dal suo sorgere, annualmente, è scandito da ricorrenze religiose e che  solo nell'ultima parte lascia spazio a sollazzi più profani, caratterizzati da divertimento ed eccessi culinari  e da tutti i giovedì:  dei monaci, dei preti, dei vedovi, dei cornuti e, infine il più atteso,  dei pazzi. Dopodiché la domenica era,  un tempo,  l'ultimo giorno di festa. A questo punto viene in aiuto una storiella popolare che racconta di  un pastorello che dopo la quinnecjn, un periodo di lavoro durato quindici giorni in una masseria,  stava tornando a piedi a casa dalla sua famiglia.  Sui suoi passi incontrò un vecchietto  che gli chiese dove era diretto. Il pastore gli rispose che sperava di arrivare in tempo, perché la strada era lunga, per festeggiare almeno la domenica di Carnevale con la sua famiglia. Il vecchietto, in realtà Gesù sotto mentite spoglie, impietosito decise di concedere altri due giorni di divertimento, per consentire al giovane pastore di godere più tempo con la famiglia. Nacquero così miracolosamente il lunedì e il martedì di carnevale, per il popolo "i due giorni del pastore".  Soprattutto nacque il martedì grasso che divenne la ricorrenza più importante perché chiudeva il lungo periodo di spensieratezza e divertimento prima dei rigori morali e culinari che la Quaresima da lì a poche ore avrebbe imposto.

Martina Franca non vanta un Carnevale antico e importante come quello della vicina Putignano o di altre località pugliesi, ma da fonti scritte sono stati tratti alcuni aneddoti interessanti che riguardano i secoli scorsi. L'arciprete martinese Isidoro Chirulli, vissuto a cavallo tra il '600 e il '700 scrisse la Istoria cronologica della Franca Martina, in cui tra gli avvenimenti storici  scrisse anche del costume di quel tempo. In quest'ambito si racconta di una passione del duca Petracone V Caracciolo per il Carnevale, duca di Martina Franca dal 1655 al 1704 e artefice dell'avvio dei lavori di edificazione del bellissimo Palazzo Ducale. Si legge che nei giorni di Carnevale il duca girovagasse mascherato con un seguito di gente anch'essa mascherata  per le vie della città. La folla festante mano a mano si arricchiva con la presenza dei galantuomini, degli artigiani, dei civili, tutti a loro modo mascherati e che infine arrivavano anche i pastori, che con i loro tipici strumenti musicali riempivano la festa di suoni. Non mancavano giochi collettivi di piazza, come la corsa al pallio, alla papera, con i caroselli e anche balli e feste in case private. Per non far mancare niente al suo popolo, il Duca apriva in quei giorni il teatro di Palazzo dove si svolgevano rappresentazioni.
Nel Prosequimento della storia di Martina dell'anno 1745, opera di un anonimo cittadino martinese, si fa riferimento invece a un altro componente della famiglia Caracciolo un secolo più tardi. Si tratta di Francesco III Caracciolo, conte di Buccino e duca di Martina dal 1771 al 1794. Erano gli anni dei contrasti politici tra due partiti in città, gli universalisti che lottavano per difendere le antiche libertà cittadine dalle prepotenze dei Caracciolo, e i ducalisti  che ovviamente sostenevano il potere feudale cercando di sostituire vecchi privilegi perduti con dei nuovi.  Francesco III Caracciolo,  anch'egli appassionato di mascherate come il suo avo Petracone V, ideò per Carnevale la sfilata di un carro da lui guidato su cui salì mascherato da ùssaro insieme a un'orchestrina con musicisti tutti mascherati,  che eseguirono un concerto mentre il carro circolava per le vie della città, là dove lo spazio ne consentiva il passaggio. Il popolo festante ne attendeva il passaggio, ma a  un certo punto Francesco III riconobbe tra la folla un avversario universalista, tale Giuseppe Pietro Carriero,  che non si tolse il cappello al passaggio del carro. Fu questo il pretesto per il futuro duca di sferzare due colpi sul cappello del malcapitato e a smascherarsi per farsi riconoscere. Pare che questo episodio inasprì ulteriormente la lotta tra le due fazioni, al punto da causare disordini sociali.

Un secolo più tardi nell'Ottocento e fino alla prima metà del Novecento i ricordi del carnevale martinese sono affidati invece ai racconti orali tramandati di padre in figlio. Emerge per il passato una dimensione collettiva della festa, vissuta nelle piazze urbane e nelle Contrade di campagna, oltre che nelle immancabili feste private. In città, per esempio le famiglie agiate organizzavano incontri nei propri palazzi. Un gruppo di burloni mascherati con abiti raffinati ottocenteschi appartenuti ad antenati, guidati da un ambasciatore si introducevano in feste private, passando da un palazzo all'altro.
L'ambasciatore era un garante senza il quale era impossibile essere accettati mascherati nelle case. Quindi, accolti dai padroni di casa, tutti i burloni della comitiva svelavano la propria identità e seguivano scherzi e giochi.
Dai palazzi gentilizi agli jsere dei ceti popolari, locali e case a piano terra, il divertimento era garantito anche per il popolo, mascherato però alla meglio.

Le Contrade di campagna, di cui la Valle d'Itria è ricca, fino ai primi anni '70 del Novecento molto abitate da contadini e massari, vivevano più teatralmente lo spirito carnevalesco. Molto spesso si danzava nelle masserie, che avevano ambienti grandi per accogliere tutti. Le popolari danza saltate, bandite un tempo nelle alte sfere della società,  allietavano le feste con suonatori di chitarre battenti, tamburelli, castagnette, cupa-cupa e triccaballacche, tutti strumenti artigianali, spesso costruiti dagli stessi suonatori. Così le pizzica-pizzeche e le tarantelle facilitavano gli ammiccamenti tra giovani, soprattutto alle fanciulle altrimenti segregate in casa e dedite alla cura domestica. A chiudere le feste era sempre a cntradànz o quadriglia, guidata da un méste de ball, ossia un maestro da sala che si esprimeva con un dialetto francesizzato.
Ma era il Martedì Grasso quello più atteso del popolo trullano, perché moriva Carnevale personificato nelle sembianze di un vecchio.  Riempito con paglia e vestito con abiti contadini, tra cui immancabile il panciotto, u mammcce  di Carnièle veniva portato in processione nelle vie rurali. Quattro portantini per la tavola in legno su cui era deposto Carnevale, le torce e una folla di gente afflitta, insomma una divertente messinscena che si concludeva con un finto medico che cercava di rianimare il povero Carnevale, con esito negativo. Nel frattempo però, durante l'intervento chirurgico dallo stomaco del fantoccio veniva estratta una pignatta piena di cibi, tra cui polpette, salumi, arance e tanto altro. Il rituale si concludeva con il povero Carnevale arso, ormai morto per sua fortuna.

A proposito di cibi, Carnevale era anche la festa del ventre concentrata soprattutto durante  u timpe d'accúcchj, ossia gli ultimi tre giorni di Carnevale quando ci si riuniva a pranzo e siccome un detto popolare consigliava Natèle e Pàsce a caste, Carnièle add te jàcchje,  "Natale e Pasqua a casa, Carnevale dove capita", si poteva pranzare con chiunque. Erano giorni in cui anche l'alimentazione dei più poveri si arricchiva, con legumi, paste fatte in casa condite con a cunsérv (concentrato di pomodoro),  con lardo e le polpette di uova.
Si racconta di un padre che chiese alle figlie in età di matrimonio di scegliere tra i plupitte o i punte e tacche, "tra le polpette d'uova a pranzo o le danze la sera". Le fanciulle, anche se affamate tutto l'anno, scelsero le danze, sognando di incontrare i principi azzurri. I più abbienti avevano tavole ricche di cibi su cui non mancava mai la carne del maiale, sacrificato da poco. Orecchiette al ragù con i frizzul, la pancetta di maiale, condite con pecorino e ricotta forte. Le polpette rigorosamente di carne,  i cazzemarregli involtini di interiora di agnello, e poi  salsiccia, pancetta salata e affumicata di maiale, insomma cibi grassi e calorici e soprattutto carne, carne, e carne.  "Carnevale" deriva, infatti, da Carnem levare, togliere la carne,  in riferimento all'astinenza imposta dalla Chiesa da cibi derivati dagli animali per quaranta giorni, dal Mercoledì delle Ceneri, dopo il martedì Grasso,  fino alla Pasqua.

Arriviamo così ai giorni nostri. Nel 2017 l'Associazione "TerraMartinae del Castrum Vetus" presenta alla comunità la maschera di  Martinuccio, disegnata da Piero Angelini e ormai diventata patrimonio culturale di Martina Franca. Martinuccio è il nome della maschera, in onore del Santo di Tours Martino, Patrono della città.  Il vestito è  ispirato alla iconografia più diffusa del Santo, il soldato cavaliere  che usa la spada per fini cristiani, tagliando il mantello e donandone metà al poverello. Sul petto del santo il giglio, lo stemma degli Angioini, fondatori del Casale di Martina nel XIV secolo, mentre il capo è coperto con un elmo con lunghe corna che ricordano quelle dei bovini razza italica, le vacche autoctone più note come podoliche. San Martino, infatti, tra i suoi protettorati in loco ha gli armenti e i cornuti, questo ultimo scaturito proprio dalle corna bovine.
Per 4 anni, fino al  2020,  Martinuccio ha fatto la sua sfilata accompagnato dalla corte ducale, il duca Francesco III Caracciolo e la madre Isabella D'Avalos, con una nutrito seguito di dame e cavalieri tutti in abiti settecenteschi, per rievocare la sfilata in maschera organizzata dalla corte ducale nel 1760.  Per ovvi motivi legati alla Pandemia la sfilata pubblica e ricca di gente si rimanda a tempi migliori.

  • A Benvenuto MESSIA, che si definisce fotografo in pensione, cicloamatore, poeta dialettale e attore in piena attività, va un ringraziamento per aver prestato le sue foto e per aver condiviso qualche suo ricordo. 
  • Per approfondire l'argomento si consiglia anche di leggere il saggio scritto dallo storico Giovanni LIUZZI  dal titolo Il carnevale e la quaresima nella storia e nella tradizione,  in "Città&Cittadini -  Umanesimo della Pietra" - n.3 - dicembre 1997.
  • La foto di copertina è dell'Associazione "Terra Martinae".



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