Valle d'Itria

Il dono a San Giorgio - A Locorotondo


"Il dono a San Giorgio" è una tradizione che a Locorotondo si rinnova sin dal 1650 per ringraziare il santo patrono Giorgio che salvò la città da un sacco.

Correva l'anno 1650 quando a Locorotondo « il sindaco Angelo Morelli dette l'avvio alla tradizione del dono a san Giorgio, offrendo al Capitolo  10 ducati d'argento e dieci libbre di cera per restaurare la cappella del Santo e per illuminarla in ogni ora del giorno e della notte.»  Queste parole sono tratte da un saggio delle storico Vittorio De Michele in cui egli racconta l'incipit di una tradizione a  Locorotondo dedicata al santo patrono Giorgio, una ricorrenza molto attesa dai residenti.

Un po' di storia
Perché san Giorgio a Locorotondo?  In un diploma di Enrico VI di Svevia, allora imperatore del Sacro Romano Impero Germanico, emanato nel 1195, è scritto che tra i possedimenti del monastero benedettino di Santo Stefano a Monopoli  c'era anche un locum qui dicitur Rotundus dove si coltivavano ulivi, viti, ricco d'acqua e dove c'era anche una chiesa dedicata a San Giorgio...et in eo ecclesiam Santi Georgii.  San Giorgio era uno tra i tanti santi orientali il cui culto certamente si era diffuso qualche secolo prima in tutta l'area pugliese dominata dai bizantini. Santi orientali dipinti in molte grotte anche per opera di monaci che abitarono nelle lame e nelle gravine,  qui giunti per sfuggire alle lotte iconoclaste in Oriente. Locorotondo esisteva già nel XII secolo, si presume però che quella collina fosse abitata da secoli prima.  L'attuale Valle d'Itria era una "terra di mezzo" quando la Puglia era  contesa tra Longobardi  a Nord e Bizantini a Sud.  Il Sud della Puglia anche con le dominazioni successive, Normanni e Svevi, rimase impregnato di cultura greca, soprattutto per quel che concerneva la religiosità espressa col culto di santi orientali. Tra essi anche  San Giorgio a cui fu dedicata sulla collina dove sorge Locorotondo una grotta come luogo di culto, grotta usata in precedenza, forse, per culti pagani.  Tra il '300 e il '400 una  chiesa-cappella sorse su quell'antica grotta, sempre dedicata a San Giorgio, in un abitato che aveva già assunto le dimensioni di un casale, con un'amministrazione e un clero residenti.  A cavallo tra il 1578 e il 1579 fu edificata nello stesso sito una chiesa più sontuosa che inglobò l'antica chiesa-cappella medievale. A cavallo tra '700 e '800 fu edificata, infine,  l'attuale Chiesa Matrice di San Giorgio, in un momento in cui la popolazione a Locorotondo aumentava extra moenia, gradualmente nella campagna circostante,  formando molti agglomerati rurali che oggi sono note come Contrade, fino a metà Novecento popolate da contadini dediti soprattutto alla vitivinicoltura.  Curioso è sapere che il nome Giorgio, di origine greca, vuol dire "contadino", pura coincidenza ovviamente. Così nella buona e nella cattiva sorte per secoli San Giorgio ha vegliato e veglia ancora sui locorotondesi, affiancato poi nel XVII secolo da San Rocco, che per tradizione salvò il luogo dalla peste.

A san Giorgio si attribuisce un miracolo avvenuto nell'anno 1648.  A quei tempi a Napoli c'era il Viceregno spagnolo. Gli Spagnoli per far fronte alle ingenti spese belliche imposero molti balzelli in tutto il regno, impoverendo sempre più la popolazione.  La scintilla del malcontento popolare scoppiò a Napoli con una sommossa  in Piazza del Mercato. Tommaso Aniello, detto Masaniello, riuscì a trasformare la sommossa in rivoluzione contro i regnanti della quale egli stesso ne fu vittima però. La fama di Masaniello si diffuse nel Regno ed ebbe come effetto alcuni emulatori.  In alcuni casi approfittarono di questi tumulti popolari molti signorotti locali che, fingendosi dalla parte del popolo, manipolarono i ribelli per interessi personali. Fu quanto avvenne sulla Murgia dei Trulli, dove in tal senso protagonista fu il conte di Conversano Giangirolamo II Acquaviva d'Aragona, noto come il Guercio di Puglia.  Anche Martina Franca ebbe il suo Masaniello, detto Capodiferro ma di nome Antonio Montanaro. Egli guidò i rivoltosi contro il duca di Martina Franca Francesco I Caracciolo, possessore di un grande feudo che comprendeva all'epoca anche Locorotondo, un feudo che confinava proprio con quello del conte Acquaviva d'Aragona di Conversano. I rivoltosi guidati da Capodiferro per aver salva la vita fuggirono da Martina Franca  e trovarono rifugio a Conversano nella contea di Giangirolamo II Acquaviva, acerrimo nemico del duca Caracciolo. Così da ribelli a favore del popolo e contro i soprusi dei governanti, il clan di Capodiferro si trasformò in una banda di criminali che al soldo del Conte Giangirolamo II misero a ferro e fuoco le campagne e alcuni centri abitati.

Il dono a San Giorgio
Alla vigilia di Natale del 1648 fu ordinato  a Capodiferro e alla sua banda, dal conte di Conversano, di saccheggiare Locorotondo.  I malfattori con delle scale riuscirono a oltrepassare le mura cittadine e a compiere devastazioni, saccheggi e uccisioni. Il popolo, tuttavia, riuscì a resistere e a scongiurare una sconfitta totale. Questo salvataggio fu presto attribuito a furor di popolo a San Giorgio  e per ringraziarlo si fece una processione. Per commemorare quella notte, appena due anni dopo, nel 1650,  fu istituito Il dono a San Giorgio, una processione dove partecipavano le autorità civili capeggiate dal sindaco che giunti in chiesa offrivano le chiavi della città, somme di denaro e altri doni per il sostentamento della Chiesa.  Dopo l'Unità d'Italia la processione si è arricchita anche della partecipazione della Società  Operaia di Mutuo Soccorso, affianco al ceto dei galantuomini, al sindaco e ai consiglieri comunali.  Agli inizi del Novecento una lotta da due fazioni popolari, beduini e senussi,  finì per pesare anche sulla cerimonia del dono. Ogni fazione infatti fondò un proprio sodalizio costituito da operai, che pretendeva un posto nella processione.  I contrasti, nati per diversi motivi, sfociarono anche in episodi violenti. Il clima tra le due fazioni non si placò e provocò l'interruzione del dono per diversi anni, una interruzione prolungata dalla Prima Guerra Mondiale. Fu alla fine della guerra che il Capitolo per riappacificare le divisioni cittadine impose alle varie Associazioni Operaie di entrare in chiesa al seguito del dono solo dopo aver pubblicamente "fatto la pace". Nel rituale del 22 aprile viene,  infatti,  riproposto un simbolico bacio di pace tra le bandiere delle associazioni operaie.
 

Per approfondimenti si consiglia di leggere il paragrafo Il dono a San Giorgio contenuto in un saggio di Vittorio De Michele dal titolo  Il clero capitolare nelle vicende storiche di Locorotondo, nel libro La Chiesa di San Giorgio Martire a Locorotondo di autori vari - Locorotondo 2004.



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