Valle d'Itria

La Dea-Madre al Museo di Civiltà Preclassiche di Ostuni


Nel 1991 nella campagna di Ostuni fu trovato lo scheletro di una donna che morì in cinta e che visse ventottomila anni fa, divinizzata con la sepoltura.

Visitando la "città bianca di Puglia", Ostuni, una tappa da non perdere è il Museo di Civiltà Preclassica  della Murgia Meridionale.  Esso è sito nell'ex monastero carmelitano di Santa Maddalena dei Pazzi, riaperto al pubblico nel 2011 dopo un accurato restauro.  Il monastero fu edificato dopo il 1743 nel cuore della città vecchia includendo l'area di tre palazzi nobiliari della famiglia Patrelli compromessi dal sisma dello stesso anno in Terra d'Otranto. In seguito fu demolita anche l'adiacente chiesa medievale di San Vito Martire e per volere dell'arcivescovo  Scoppa il tempio fu ricostruito tra il 1750 e il 1753, rappresentando ora una degli esempi più eccellenti del rococò in Puglia.  Fino agli anni settanta del Novecento hanno abitato le monache carmelitane nel monastero di clausura. Poi abbandonato, da qualche decennio esso è proprietà con la chiesa del Comune di Ostuni.

Il Museo nacque nel maggio del 1989 con lo scopo di raccogliere tutte le testimonianze archeologiche di età preclassica rinvenute in area murgiana. Nel 1991 anche la regione Puglia riconobbe un finanziamento all'attività di ricerca legata al progetto museale, che rese possibile campagne di scavo sistematiche in tutto il territorio di Ostuni. Il risultato è sotto gli occhi di tutti visitando il Museo, migliaia di reperti archeologici e qualche resto monumentale, che coprono un lungo arco temporale.  La provenienza di tutti i reperti riguarda non solo il territorio intorno, la costa e l'entroterra con le sue grotte, ma anche il sito urbano dove ci sono stati ritrovamenti anche nel  giardino delle Carmelitane e nelle torri angioine-aragonese, colme di materiale di risulta ricco di reperti archeologici. Un lungo viaggio nel tempo, dal Paleolitico al Neolitico, Età messapica, classica, medievale fino all'Età moderna.

Tra i siti dove sono state rinvenute anche le sepolture uno desta particolare importanza scientifica. Si tratta della grotta-santuario di Santa Maria di Agnano, un'ampia cavità carsica in Contrada Risieddi. Era il 24 ottobre del 1991 quando il Prof. Donato Coppola, paletnologo, (Università Tor-vergata di Roma all'epoca ora Università di Bari del Dipartimento di Scienze dell'Antichità e del Tardoantico) mentre esplorava il luogo con i suoi studenti fece l'eccezionale scoperta di Ostuni 1,  ossia la sepoltura di una giovane  donna che poi si scoprì essere morta in cinta e vissuta circa 28 mila anni fa, nel Gravettiano (tra 29.000 e 20.000 anni fa).  In blocco fu asportata la sepoltura e trasferita al Museo di Ostuni per essere studiata e se ne diede notizia alla comunità scientifica mondiale. Ora nel sito rupestre di Ostuni 1 si ammira il calco  insieme al calco di Ostuni 2, un cacciatore vissuto circa 30 mila anni fa, sempre nel Paleolitico superiore (tra i 40.000 e i 10.000 anni fa), mentre all'esterno c'è il calco di un uomo vissuto nel Medioevo, Ostuni 3 (forse risalente all'XI o XII secolo). Gli stessi calchi si possono vedere al Museo, tutti gli originali sono in fase di studio, l'unica sepoltura originale esposta al Museo è Ostuni 1. In una sala un diorama rappresenta fedelmente la grotta santuario di Agnano con la sepoltura di Ostuni 1.

Lo studio multidisciplinare sulla sepoltura Ostuni 1 ha, nel tempo, svelato molti particolari importanti sul motivo della morte della madre e del suo bambino e sul rituale di seppellimento. Nel 2017 il prof. Coppola ha rese note le ultime scoperte riguardanti l'indagine scientifica dello scheletro, informazioni che arricchiscono quelle già note fino ad allora. Come si è accennato la donna è vissuta 28 mila anni fa circa e apparteneva a una piccola comunità di cacciatori-raccoglitori.   La comunità dopo aver scavato una fossa e acceso un focolare, come da rituale, depose la defunta  in posizione rannicchiata con la mano sinistra sotto il capo e la destra sul feto, con il teschio coperto da una cuffia composta da 650 conchiglie a cui si alternavano  canini di cervo e cosparso di ocra rossa. Di conchiglie erano i braccialetti ai polsi e i bracciali sugli avambracci, tra cui la ciprea, simbolo di fecondità.  Tutt'intorno alla sepoltura resti di fauna, compreso un piccolo fagottino di pelle vicino al ventre contenente denti di uro e cavallo, tutti chiari riferimenti alla comunità di cacciatori a cui la donna apparteneva, in cui lei forse era anche conciatrice di pelli, mentre gli uomini oltre all'attività venatoria si occupavano della macellazione. Nel 2012 furono trovati nella mandibola del bambino  5 dentini, esaminati di recente con il sincrotrone nel centro di ricerca di Trieste. Il sincrotrone è un acceleratore di particelle col quale ingrandendo i denti si è scoperto che erano composti da 108 sfoglie e pertanto è stato possibile dedurne l'età. Da qui si è giunti alla conclusione che il feto a 7 mesi cessò di crescere in seguito a una malattia della madre, la eclampsia, e che la donna morì nell'ottavo mese, tra la 31° e la 33° settimana di gravidanza.

La donna era alta un metro e settanta,  20 anni circa, una dentatura intatta anche se consumata con la parte destra del cranio un po' affossata forse perché compressa da una pietra di sepoltura. Sotto la nuca è stata trovata una piccola scultura femminile simbolo di divinità. Sempre vicino al teschio c'era una sottile e piccola pietra appuntita che con molta probabilità fu utilizzata per indurre una morte dolce (eutanasia) alla gestante, recidendo la giugulare per liberarla dalle sofferenze. Non è la prima volta che sono state trovate pietre con questa funzione in sepolture preistoriche.  Alla luce di tutte queste informazioni si è dedotto che la sepoltura rappresentò una divinizzazione della maternità interrotta, dove la piccola statua litica e la ciprea simboli di fertilità ne accentuavano la forza propiziatoria del rito, affinché la comunità continuasse a procreare. L'ocra rossa era un altro simbolo forte, il colore del sangue che rivitalizzava la stessa dea-madre appena sepolta, assicurandole una vita dopo la morte.  Altro particolare che ricalca la divinizzazione di Ostuni 1 è il copricapo con conchiglie e canini di cervo, che rimanda al copricapo della Venere di Willendorf, una piccola scultura preistorica femminile, simbolo di fertilità con il ventre, i fianchi e i seni molto accentuati, da qui steatopigia. In sintesi, circa 28 mila anni fa con un rito collettivo una comunità di cacciatori diede sepoltura a una donna che oggi è simbolo universale di maternità, perché a tutt'oggi è la più antica sepoltura di consanguinei, madre e figlio, rinvenuta intatta.



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